
La forza della rete: supporto e crescita per caregiver
Accudire un familiare con disabilità significa affrontare sfide quotidiane che richiedono competenze complesse.
Molti e molte caregiver, infatti, si ritrovano a gestire contemporaneamente aspetti organizzativi, psicologici, medico-assistenziali e legislativi: un impegno enorme che troppo spesso viene affrontato in solitudine, causando stanchezza, stress e logoramento.
Per rispondere a questi bisogni sono stati avviati cicli di incontri formativi ed informativi, pensati come spazi neutri, protetti e non giudicanti, dove ogni persona può aprirsi, secondo i propri tempi e le proprie modalità, e condividere esperienze, emozioni e difficoltà, ma anche elaborare strategie e soluzioni insieme alle altre persone che vivono la stessa esperienza.
Gli obiettivi sono favorire il benessere di chi si prende cura, fornire strumenti pratici e favorire la nascita di un gruppo di supporto e auto-mutuo aiuto, affinché il percorso non si esaurisca al termine degli incontri, ma possa proseguire nel tempo, riducendo l’isolamento e rafforzando la rete di sostegno reciproco.
Ne parliamo con Maria Francesca Sparacino, terapista della riabilitazione psichiatrica, educatrice e formatrice che conduce i gruppi.
Come è nata l’idea di questi percorsi?
Nel corso del progetto precedente sostenuto dalla Fondazione – #spazioaperto al servizio della Comunità – abbiamo incontrato negli hub territoriali molti familiari di persone con disabilità che ci hanno espresso bisogni chiari e ricorrenti.
In primo luogo, la necessità di sentirsi accolti, compresi e riconosciuti nelle proprie emozioni e fatiche. Accanto a questo, la necessità di ricevere un orientamento chiaro sui servizi e le opportunità esistenti sul territorio capaci di dare risposte concrete alle difficoltà quotidiane. L’idea dei percorsi nasce proprio da qui: offrire non solo sostegno emotivo, ma anche strumenti pratici che aiutino ad affrontare meglio la quotidianità.
I primi incontri hanno toccato temi come il riconoscimento dei bisogni personali e la gestione delle emozioni: quali di questi hanno suscitato più interesse o hanno fatto emergere maggiori riflessioni?
Non c’è stato un tema in particolare a prevalere, ma molti partecipanti si sono sorpresi nel riconoscere negli altri gli stessi bisogni personali, in particolare il desiderio di ritagliarsi tempo per sé, la necessità di riposo mentale e fisico, e di conciliare la cura con la vita familiare e lavorativa. Nel gruppo hanno ritrovato anche emozioni comuni, come frustrazione, solitudine, impotenza, rabbia e senso di colpa.
Scoprire queste affinità, li ha fatti sentire più vicini ed uniti, aumentando il senso di fiducia nei confronti del gruppo e la sensazione che insieme si possa essere meno soli, più forti e più informati.
Oltre al supporto emotivo, vengono forniti anche strumenti pratici: quali sono, e come aiutano concretamente i caregiver nella vita quotidiana?
Nel corso degli incontri offriamo una panoramica delle risorse disponibili, anche gratuite: sportelli territoriali, siti web informativi, servizi che rispondono ai bisogni sanitari, amministrativi o socio-assistenziali, enti e organizzazioni che propongono attività sportive e per il tempo libero, vacanze e percorsi di vita indipendente.
Affrontiamo anche tematiche più specifiche come le funzioni dell’amministratore di sostegno, il “Dopo di noi” e le misure di sostegno al reddito.
Talvolta semplifichiamo un linguaggio molto tecnico e poco accessibile, per permettere a tutti di capire meglio come muoversi: orientarsi tra i servizi non è sempre facile, ma avere queste informazioni è fondamentale per affrontare la vita quotidiana con più sicurezza.
Inoltre, con il consenso di tutti, creiamo una chat di gruppo su WhatsApp che permette alle famiglie di scambiarsi informazioni, segnalare iniziative, condividere notizie aggiornate e sostenersi reciprocamente anche al di fuori degli incontri: un piccolo strumento che rafforza la rete tra caregiver.
Che cosa ha significato per i caregiver scoprire che “non sono soli” e che esiste una rete pronta ad ascoltarli?
Per molti è stata una scoperta liberatoria. Confrontarsi con chi vive la stessa esperienza genera un senso di benessere e sollievo, perché ci si sente capiti. Alcuni hanno espresso anche un po’ di rammarico per non aver trovato prima spazi simili, segno di quanto la necessità di confronto fosse urgente.
In che modo il gruppo riesce a diventare uno “spazio sicuro e di crescita” dove condividere difficoltà, ma anche risorse e strumenti?
Scoprire che si stanno vivendo esperienze simili e si stanno affrontando le stesse difficoltà, crea un senso di vicinanza e abbassa progressivamente le difese: ciò che inizialmente si faceva fatica a dire, per il timore di non essere capiti o sentirsi giudicati, diventa più facile da condividere perché ci si sente protetti.
Questo trasforma lo spazio anche in un luogo di crescita, dove ciascuno non solo porta le proprie difficoltà, ma si mostra più propositivo, portando strumenti e soluzioni.
Quali cambiamenti ha notato nei partecipanti durante il percorso, anche piccoli segnali di maggiore consapevolezza o benessere?
Anche i piccoli cambiamenti hanno un significato enorme. C’è chi ha iniziato a riconoscere i propri limiti e a chiedere aiuto, senza sentirsi in colpa; altri hanno iniziato a ritagliarsi del tempo per prendersi cura di sé e a coinvolgere più attivamente altri familiari nella cura.
La partecipazione è diventata sempre più attiva, con una maggiore volontà ad aiutarsi reciprocamente e a condividere informazioni, portando in alcuni casi alla nascita di frequentazioni anche al di fuori del gruppo.
Guardando al futuro, che ruolo possono avere questi spazi di confronto nel sostegno ai caregiver?
Credo che questi spazi possano trasformarsi in un vero punto di riferimento: non soltanto pause di sollievo, ma luoghi stabili e continuativi di supporto, confronto e crescita.
Quando un caregiver sta meglio, a beneficiarne non è solo la persona di cui si prende cura, ma l’intera famiglia e, in senso più ampio, la comunità.

